lunedì 21 maggio 2012

Progettare è più difficile che produrre? - Un'analisi (Parte I)


Ieri,  produrre era più difficile che progettare.
Oggi, progettare è più difficile che produrre.


Così scriveva nel 1995 Augusto Morello sulla copertina della rivista StileIndustria, e la considerazione mi apparve già piena di senso all'epoca, anche se un po' futuribile per certi aspetti.
Oggi il senso è ancora di più evidente, in un'epoca in cui la produzione è diventata qualcosa da subappaltare in luoghi lontani, quando il valore fisico di moltissimi prodotti è quasi irrisorio.
Riletta qualche tempo fa mentre riordinavo una libreria, questa frase mi ha fatto oggi pensare e valutare come il nostro FUTURO è legato alla capacità di analizzare e capire sia cosa sappiamo progettare, sia cosa sappiamo produrre, e forse anche cosa non si può nè progettare nè produrre!

articolo e © http://www.slashgear.com
In un tempo in cui il prezzo pagato per un qualche "iThing" è forse per meno del 10% un costo di produzione, ma per la stragrande parte un "valore aggiunto" che copre trasporti, marketing, packaging, software, ricerca e sviluppo, e soprattutto un ampio margine di guadagno.
E il guadagno, voglio chiarirlo, per me è qualsiasi "valore aggiunto", che è e rimarrà il motore di ogni economia che va oltre la pura sussistenza.
Non credo sia positivo l'accumulo di capitale e di ricchezza improduttiva, non penso che la deriva finanziaria attuale sia salutare, ma penso che sia basilare per la nostra vita e per la società perseguire la capacità di creare valore aggiunto attraverso attività, e continuare a migliorarlo. Il valore aggiunto è quello che crea un valore di scambio che permette a un individuo o gruppo di offrire ad altri qualcosa che gli altri possono apprezzare e per il quale sono disposti ad offrire qualcosa in cambio.
© http://tomassalles.com
Senza questi valori aggiunti non possono esistere gli scambi di risorse che permettono a chi sa fare bene qualcosa di concentrarsi a farlo, raggiungendo quindi una maggiore efficienza, invece di doversi occupare di tutto quel che gli servirebbe per sopravvivere, con una specializzazione e quindi un'efficienza estremamente più bassa. Il valore aggiunto, quel valore che viene percepito dagli altri come più alto del puro costo di produzione, è quel che ci permette una elevata qualità della vita.


Davvero oggi produrre è "banale"? 

Ma tornando al punto di partenza, perchè ho preso questa frase di Morello come spunto per scrivere qualcosa, proprio oggi?
In effetti l'idea mi è venuta leggendo una notizia relativa al nuovo record di "stampa tridimensionale" in dimensioni infinitesimali (qui potete leggere l'articolo) e perdendomi a navigare fra i siti degli appassionati di stampa tridimensionale.
Quello che mi appassionava anni fa dei sistemi di prototipazione tridimensionale era la loro capacità di trasformare direttamente in realtà un puro concetto, producendo fisicamente un oggetto dal modello 3d esistente solo nella memoria di un computer, e all'epoca fantasticavo di come in un futuro sarebbe stato possibile che questa tecnologia diventasse alla portata di tutti, rendendo in parte inutile produzione e trasporto dei prodotti, visto che poteva essere teoricamente possibile vendere semplicemente il "blueprint" di un oggetto che poi i clienti avrebbero realizzato direttamente a casa propria.
© e info www.makerbot.com

Fantascienza per certi versi, ma forse nemmeno tanto, visto che questa ipotesi si sta avvicinando alla realtà. Esistono infatti già oggi in commercio per un paio di migliaia di dollari stampanti 3D che rendono possibile realizzare oggetti in plastica con un livello di dettaglio piuttosto elevato, ed esistono già siti che vendono i modelli tridimensionali di oggetti pensati proprio per questo metodo di produzione... ma molte persone vanno oltre, usandola per riparare i mobili di casa, o per decorare i dolci!
Se siete curiosi, andate a dare un'occhiata a cosa si può fare con un MakerBot e divertitevi un po... ma considerate che una macchina professionale permette di fare cose incredibilmente più complesse!
(Un video con diversi esempi di utilizzi della stampante 3D "da garage")
Produrre oggi è quindi, non ancora banale, ma sicuramente estremamente più semplice, e soprattutto non è più levato al know-how acquisito con decenni di esperienza ma è acquisibile in tempo "quasi zero" a patto di poter fare un investimento piuttosto ridotto.


DIY, modding, e "de-professionalizzazione".

Il discorso però secondo me è più ampio, visto il ritorno a un contatto più diretto con il "fare le cose" è piuttosto diffuso.
E' banale notare quanti sono i cittadini che comprano mobili da montare dedicandosi al più classico dei do-it-yourself, ma in parallelo a questo che è diventato un elemento comune e che riduce di molto la quantità di lavoro produttivo incorporata in molti beni, si diffonde anche la cultura del "modding", ovvero il personalizzare e modificare prodotti che nascono "semplici" o standard fino a farli diventare cose quasi completamente diverse. Si riduce quindi anche il margine per produrre oggetti solo superficialmente diversi per sfruttare differenti target di mercato con piccole variazioni del prodotto. Infine possiamo notare quante persone, sulla base di esperienze di DIY semplice, poi evolvono le loro competenze svolgendo lavori sempre più complessi che in alcuni casi sostituiscono quello di professionisti del settore.
E' anche, questo, un effetto della maggiore semplicità e sicurezza d'uso di molti strumenti e macchinari di lavorazione che una volta si potevano considerare puramente professionali, ma che oggi una persona attenta e motivata può imparare a usare in breve tempo con ottimi risultati.
In questo ambito, e con la "complicità" anche delle prototipatrici di cui sopra, potremmo ipotizzare che in un futuro molto vicino una rinascita dell'arte della riparazione, che era (è) ormai data per estinta a causa della rapida obsolescenza programmata dei prodotti low cost, meno costosi da sostituire che riparare... ammesso che non si sia capaci di farlo da soli.
E forse fiorirà addirittura a livello personale o quasi, visto che un paio di amici con un garage libero potranno presto crearsi un minilaboratorio con scanner e stampanti 3d di discreta qualità. Si tratterà quindi più di un'arte della duplicazione, in un certo senso, cosa che apre altri ulteriori scenari...

Pensiamo poi a quante persone oggi si dedicano alla personalizzazione di oggetti relativamente economici, come per esempio dei mobili, trasformandoli quindi in "oggetti di design" (o se non altro in "conversation pieces") superando quindi anche la necessità di acquistare prodotti costosi per dare un impatto più forte alla proprio stile di vita. Il design non è certo superato, ma lo styling o il design decorativo subisce forse una contrazione di mercato.
Qui trovate questi e altri "extreme hacks", e ovviamente su http://www.ikeahackers.net/


In poche parole, dal DIY al modding alla duplicazione-ricostruzione, penso di poter dire che assistiamo ad una ripresa di contatto con la cultura del fare, ad una specie di diffusa artigianalità tecnologica di ritorno.

Per molte persone però l'altro lato della medaglia è una sensazione crescente di impotenza e inadeguatezza nel momento in cui le macchine diventano sempre più efficaci e sempre più "intelligenti, in quanto possono completare la nostra abilità o addirittura in alcuni casi sostituire del tutto la nostra presenza.
Mentre una volta questo era vero nelle attività ripetitive e prevedibili, per certi aspetti "alleggerendo" il carico di lavoro che alcune persone dovevano sopportare con risultati anche nocivi, oggi possono affiancarci in moltissime situazioni, e addirittura sostituirci anche in attività non banali, come quelle dell'impiegato allo sportello bancario o dell'agenzia di viaggio, del venditore in negozio o del magazziniere.
Tante altre professioni vengono inoltre soppiantate dal DIY reso possibile dalla semplificazione delle competenze tecniche necessarie per svolgere compiti che precedentemente richiedevano un elevato grado di competenza e anni di pratica.
Un club dove il DJ non esiste più.
Pensiamo a come professioni considerate ancora "specialistiche", dal grafico al fotografo, dal DJ all'architetto d'interni, possano oggi essere svolte da tantissime persone con un periodo di apprendimento estremamente breve grazie all'ausilio di software e smart tools. Certo, un vero professionista con decenni di esperienza è ancora spesso migliore sotto molti aspetti, ma in tantissimi casi le necessità, le sensibilità o le aspettative dei "clienti-utenti" di questi nuovi semi-professionisti non giustificano la differenza di prezzo fra il professionista e il semi-professionista. Questa differenza può arrivare al 100% infatti, quando quello che una votla avrebbe potuto essere un cliente opta per il DIY in prima persona. E il professionista non lavora più.
Quindi se i lavori di routine sono in grande numero ormai già scomparsi, anche il "fare tecnico" è in alcuni (molti?) settori in via di estinzione, con un processo che forse potremmo definire "de-professionalizzazione".


La conclusione di questa breve analisi è quindi per certi versi preoccupante perché ci indica un restringimento  o una scomparsa di molti settori in cui era fino a poco tempo fa possibile creare del valore aggiunto attraverso la propria esperienza e la propria competenza, producendo qualcosa o svolgendo un serrvizio.
Per altri versi credo però si possano osservare degli spiragli di opportunità in evoluzione.
Nel prossimo articolo, a breve, ne scriverò, e per il momento spero comunque di aver suggerito qualche spunto anche a voi. Non esitate a discuterne nei commenti!



Una breve nota su Augusto Morello e StileIndustria

Anni fa, ai tempi in cui ero uno studente universitario, compravo (saltuariamente, infatti ne possiedo solo 3 numeri) una bella rivista: StileIndustria.
La copertina di ogni numero era composta di una grafica semplice ed elegante, sostanzialmente era una frase che introduceva il tema della rivista. Già questo può far immaginare quanto fosse focalizzata e interessante la rivista stessa, comprendente anche utili considerazioni sulle tecniche di produzione, sulle innovazioni del marketing e dell'organizzazione aziendale, sull'etica e sulla teoria del design.
Costava abbastanza (15.000 lire e io non avevo mai una lira), ma erano soldi ben spesi, perché si trattava di un concentrato di idee, informazioni, dibattiti e spunti ben scelti. La pubblicava EditorialeDomus e il direttore era Augusto Morello, all'epoca professore del Politecnico di Milano e presidente dell'ADI, che aveva idealmente ripreso il filo della rivista Stile Industria di Rosselli, nata nel 1953 e pubblicata per 9 anni.
Questa re-incarnazione ebbe vita ancor più breve, poco più di 2 anni. Un vero peccato, ma non una sorpresa, considerato il panorama industriale italiano ell'epoca, pur migliore di quello odierno, e ancor più considerando che la maggior parte dei cosidetti "designer" erano e sono ancor più oggi degli "stylist" in fondo interessati solo a inseguire o a creare una moda di breve respiro e di poco valore intrinseco.
Io personalmente consideravo Morello una personalità di spicco per lo stile impeccabilmente retrò, per la cultura incredibile, per le esperienze di vita e professionali, ma soprattutto per la abilità con cui riusciva a trasformare, con la sua affabulazione coinvolgente, la sua ironia, il suo gusto per l'aneddoto illuminante e il talento per la frase incisiva, qualsiasi lezione di Storia del Disegno Industriale in un racconto affascinante.
Sotto la sua direzione l'ADI e la Triennale di Milano si stavano dando finalmente una mossa, scrollandosi di dosso polvere, muffa e piccoli personaggio interessati solo a premi e poltrone, e all'inizio degli anni 2000 sembrava che potesse finalmente emergere un vero polo culturale del design a Milano.
La sua morte nel 2002 è stata secondo me un colpo tremendo, in quanto nessuno con la sua statura ha continuato il lavoro che stava portando avanti, e le potenzialità del design italiano hanno perso un motore di innovazione e di sviluppo, infatti non si è sviluppata più una vera comunità dei designer che vada oltre il ridicolo snobbismo radical-chic e la stucchevole autoreferenzialità.

Un'intervista ad Augusto Morello